Con grande piacere per la prima volta pubblico un' intervista sul mio blog e ad inaugurare con me questa novità c'è 𝐅𝐚𝐛𝐢𝐨 𝐈𝐮𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨, autore di 𝐎𝐜𝐞𝐚𝐧𝐬.
Ringrazio Fabio per la disponibilità che ha avuto a soddisfare le mie curiosità e vi invito a leggere Oceans e a scoprire tanto altro su Fabio sul suo sito www.fabioiuliano.it.
𝐋𝐞𝐠𝐠𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐚 𝐭𝐮𝐚 𝐛𝐢𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐩𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐚, 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞, 𝐛𝐥𝐨𝐠𝐠𝐞𝐫 𝐝𝐢 𝐞𝐯𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐞 𝐢𝐧𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥'𝐢𝐦𝐦𝐢𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐦𝐮𝐬𝐢𝐜𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐢𝐥𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐞𝐠𝐧𝐢?
Rileggiamo insieme la bio, io sono insegnante e giornalista e ogni tanto c'è da dire che conciliare una lezione frontale, un live report o un lancio di agenzia non è facilissimo. Il resto appartiene al mio essere "turista" delle mie passioni, a partire da musica e sport. Uso molto la musica in tutto quello che faccio (scrittura, insegnamento, giornalismo). Non sono un fanatico di sport, mi piacciono il triathlon e la corsa endurance con prove che affronto rispettando la regola zen "never hasten your pace - mai affrettare il passo". Correre una maratona ti insegna a stringere i denti fino al traguardo, fregandotene delle crisi inevitabili del 27esimo chilometro. È in qualche modo una metafora di vita.
𝐏𝐚𝐫𝐥𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐭𝐮𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨, 𝑶𝒄𝒆𝒂𝒏𝒔, 𝐭𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐡𝐨 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐢𝐜𝐨𝐥𝐭à 𝐚𝐝 𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐦𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡è 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐥𝐨𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐢𝐞 𝐚𝐛𝐢𝐭𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐮𝐫𝐞, 𝐦𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐡𝐨 𝐚𝐩𝐩𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐭𝐮𝐚 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐚, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡é 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐨 𝐭𝐮 𝐬𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 "𝐬𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢𝐜𝐞". 𝐃𝐞𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐢 𝐢𝐥 𝐭𝐮𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐫𝐞 𝐚𝐠𝐠𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐧𝐜𝐮𝐫𝐢𝐨𝐬𝐢𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞...
Quello della difficoltà strutturale era un rischio che dovevo correre perché, al di la di quello che succede nella storia, molto si gioca nel flusso di conscienza del protagonista. E la testa del protagonista funziona così, in maniera complessa. A dirla tutta la vera protagonista è l'assenza, intesa come qualcosa da elaborare prima che ti logori dentro. Da giornalista ho un uso molto prudente degli aggettivi comunque ci provo: musicale, ironico, psicologico.
𝐂𝐨𝐦'è 𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐥'𝐢𝐝𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐎𝐜𝐞𝐚𝐧𝐬? 𝐋𝐨 𝐡𝐚𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐢ù 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢? 𝐄 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐅𝐚𝐛𝐢𝐨 𝐈𝐮𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐜'è 𝐢𝐧 𝐒𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞?
Se parliamo di scrittura creativa (e non di giornalismo), scrivo per me ma comunque nella convinzione di raccontare qualcosa in cui un'altra persona possa ritrovarsi. Come avviene in quelle canzoni capaci di dare emozioni assortite a seconda di chi le ascolta. Oceans è un racconto montato al contrario: Lisbona – Bairro Alto è l’episodio di partenza, ma è l’ultimo in ordine cronologico, poi Roma e quindi Swansea, in Galles, con Parigi sullo sfondo. L’idea iniziale era di scrivere dei racconti di viaggio dedicati a luoghi per me significativi: a Parigi ho vissuto per circa un anno; a Swansea ho fatto l’Erasmus; Roma è in qualche modo “casa”, mentre Lisbona semplicemente il luogo da dove avevo deciso al progetto. Le restrizioni legate al Covid hanno mescolato le carte. Così, mentre stavo progettando il viaggio per Swansea, ho deciso di trasformare quattro racconti distinti in un’unica storia, con protagonista il personaggio già apparso in Lithium 48, il mio libro precedente. Sia chiaro, Ocean non è un sequel ma utilizza alcuni personaggi comparsi in Lithium, a partire da quel Simone che non è più quel ragazzotto di 23 anni e mezzo sognatore e imbranato. Quanto c'è di Fabio Iuliano in Simone? Moltissimo, la storia che avevo raccontato in Lithium 48 è ispirata a una vicenda reale. Per proteggerne il protagonista avevo dato a Simone molto della mia identità, a partire dai gusti musicali.
𝐇𝐚𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐧𝐞𝐝𝐝𝐨𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐭𝐮𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐢 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐞𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐝𝐢𝐯𝐢𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐧𝐨𝐢?
L'aneddoto che mi ha spinto a dare questo titolo viene da un concerto dei Pearl Jam a cui ho assistito a Barcellona. Poche settimane prima era morto, per un problema cardiaco, Israel Barrales, un ragazzo messicano che sarebbe dovuto essere presente quella sera: la data sul biglietto coincideva col giorno del suo compleanno. Avrebbe voluto attraversare l’Atlantico per raggiungere quel concerto. Tutto questo, nella speranza di ascoltare Oceans, una canzone del primo album. “Ogni loro scaletta è diversa, chissà che io non sia fortunato stavolta”, si era detto Israel nel prenotare il viaggio. Non aveva mai sentito la sua canzone preferita live. Dopo la sua morte, in omaggio al ragazzo, i fan diffusero sul web l’hashtag #PlayOcensforIsrael. Un messaggio talmente carico di energia da entrare nelle vibrazioni della band che, proprio a lui, dedicò una versione acustica mozzafiato della canzone. L’intero palasport era illuminato dalle torce degli smartphone puntati verso il cielo. In un'altra occasione, il frontman dei Pearl Jam aveva detto queste parole: "Non mollate, non siate tristi. Rivolgetevi a qualcuno, alla musica, a qualcosa privo di dolore, all’oceano, al cielo, alla luna…". Ne sono sempre rimasto colpito.
𝐔𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚: 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢 𝐭𝐮𝐨𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢𝐦𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐞𝐭𝐭𝐢? 𝐒𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐚𝐦𝐩𝐨 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐨 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐨𝐫𝐢𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐮𝐨𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢?
Per ora non saprei. Intanto, mi piace portare in giro, chitarra alla mano (Siae permettendo) il mio Oceans. Sto lavorando su un libro che prevede la trascrizione di 24 itinerari tra musica e viaggio, insieme alle professoresse Valeria Valeri e Antonella Finucci. Vogliamo fare una specie di "Radio di carta". Chissà, poi, fra qualche tempo, mi piacerebbe tornare sui passi di Lithium, a Parigi.